Bulletin n. 2-3/2012
October 2012-February 2013
CONTENTS
  • Section A) The theory and practise of the federal states and multi-level systems of government
  • Section B) Global governance and international organizations
  • Section C) Regional integration processes
  • Section D) Federalism as a political idea
  • Marco D’Alberti
    Gli scompensi nella global polity
    in Nomos , n. 2/2012 ,  2012
    La globalizzazione, e la crisi finanziaria mondiale, hanno sollevato di recente una serie di problemi rilevanti. Si è parlato e si parla di crisi della regolazione, che è considerata una delle cause della crisi finanziaria; di crisi delle istituzioni, che non riescono a governare la globalizzazione; di crisi della democrazia, per il deficit democratico che molti collegano alle organizzazioni internazionali e all'Unione europea. Per quel che riguarda quest'ultimo aspetto, alcuni studi politologici ruotano attorno all'idea del disagio della democrazia, della sua sopravvivenza larvale (C. Galli). Taluni contributi di giuristi sottolineano la crisi della democrazia capitalistica (R. Posner). In questa fase di grandi trasformazioni, di difficoltà, di riflessioni critiche, assume grande rilievo il libro di Sabino Cassese dedicato alla Global Polity, che analizza lucidamente e in profondità le dimensioni globali della democrazia e della rule of law. Cos'è la global polity? È il tema affrontato nella prima parte del lavoro di Cassese. La global polity è l’insieme delle regolazioni che compaiono nell’arena globale. Vi sono gli Stati, ma soprattutto le organizzazioni internazionali, i networks transnazionali composti da regolatori nazionali, i cosiddetti regolatori ibridi – un po’ pubblici un po’ privati –, le organizzazioni non governative. A tutto ciò può aggiungersi la nuova lex mercatoria, regime giuridico privato costruito soprattutto nella contrattualistica che vede protagoniste le grandi imprese multinazionali. È un quadro giuridico composito: Richard Stewart, citato da Cassese, ha paragonato la global polity ai quadri di Jackson Pollock, fatti di sgocciolature e spruzzi di colore che lasciano grande spazio al caso: si ha l’idea di un miscuglio senza ordine, senza simmetrie. Cassese scrive che tutto ciò fa pensare all’“anarchia feudale”. Cosa sia stata quest’anarchia ce lo ha spiegato Marc Bloch in quel grandioso affresco che è La sociètè féodale, ove lo storico francese mette in luce “il frazionamento della sovranità tra una moltitudine di piccoli principi o, persino, di signori di villaggi”. Si distinguevano veri e propri principati territoriali cui si aggiungevano contee e territori minori, fino alle castellanìe: bastava un castello, con la sua torre e un appezzamento di terreno, perché vi fosse un signore, anche se un po' sminuito rispetto agli altri, e dunque un potere pubblico, ivi compresa l’amministrazione della giustizia. La realtà dei poteri feudali era comunque caratterizzata dalla presenza dell’elemento territoriale. Il feudo, precisa Bloch, era una forma di concessione e di possesso di diritti reali.
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